Inaugurata sabato 13 maggio 2023, la mostra di Paolo Melzani “Una sola verità, tanti punti di vista” resta aperta fino al 31 maggio nei consueti orari dal martedì alla domenica 16 – 19.30. Paolo Melzani (Bagolino, Brescia 1950) è artista a tutto tondo, solida cultura (è laureato in Filosofia all’Università Statale di Milano), eccellente nel governare la tecnica della china colorata (all’incirca dal 2014, e in precedenza dell’incisione – più o meno – dal 1990 al 2013).
Quasi un farmacista nel misurare la mescola dei colori che sovrappone anche 4 – 5 volte partendo dal più tenue per giungere al più forte, sicuro nell’uso dei pennini che sceglie di varie dimensioni a seconda dell’occasione, un maestro nel maneggiare l’acquerello per raggiungere determinate tonalità del colore, certosino nella cura dei particolari, paziente nella costanza di un impegno che lo occupa 6 – 7 ore al giorno per un paio di mesi per iniziare e concludere un quadro. Anzi, per realizzarlo al 90 per cento, perché a quel punto, questa è la consuetudine di Paolo, se ne distacca per un po’ di tempo, quasi a voler reintegrare le sue energie dedicandosi ad una nuova opera. Ma poi se ne riappropria, lo conclude quasi con uno sguardo nuovo di chi, prima di fissare definitivamente i suoi punti, la sua china, i suoi colori, vuole aver ben riflettuto, esserne convito in toto.
Questa è la sintetica carta d’identità dell’artista bagosso la cui attività è un esempio di continuità e discontinuità (dal pastello a olio, all’incisione, al puntinismo) e di autorevolezza, legata alla realtà della sua terra senza però racchiudersi nei limiti locali per guardare ad aperture, geografie, tendenze di vasti orizzonti. Melzani, infatti, rifugge dalla comoda tentazione di rinchiudersi in facili recinti e sceglie di arricchire, mettendosi quasi in discussione, la sua esperienza ogni volta che gli si presenti una opportunità, un’occasione o quando voglia, insieme alla valorizzazione della tradizione, percorrere nuove parabole di innovazione e ricerca sia per la forma, sia per i soggetti e anche per le tecniche.
La pittura a china è stata largamente praticata nell’arte, nel Rinascimento come per Picasso, per limitarci a due esempi, ed anche ai nostri giorni è diffusa, ma non è una tecnica facile, si asciuga rapidamente, con il pennino è necessario saper usare quantità d’inchiostro costanti perché, altrimenti, l’armonia dell’opera ne risente. Proprio come sa fare Melzani con le sue boccette dai vari colori, attento a sovrapporli anche più volte per ottenere la tonalità voluta, nel suo studio, completamente diverso da come ce lo si potrebbe aspettare: non un attrezzo fuori posto, nessuna macchia che non sia stata subito pulita, insomma in ordine e luminoso con la sua postazione di lavoro collocata proprio davanti a una ariosa finestra.
Ci vogliono anni a Melzani per preparare un nuovo ciclo di quadri, senza rimanere prigioniero di dogmi, ma seguendo la sua ispirazione, la sua evoluzione, quasi un “panta rei”, tutto scorre che Eraclito – il filosofo di Efeso vissuto tra il VI e V secolo a.C. – pone come condizione della stabilità delle cose. Proprio come fa l’artista bagosso che nella discontinuità sa farci riconoscere la sua identità e ci propone nuove opere capaci, come e più di prima, di suscitare interesse, curiosità, di coinvolgerci e di appassionarci. Sì, di infervorarci con la sua pedagogia affinata in tanti anni di insegnamento, con la sua pittura che è didattica mai ripetitiva che stuzzica e attira curiosità, interesse, talvolta anche entusiasmo.
E a Brescia, dopo la mostra del 2013 che ha presentato le sue incisioni, ora Melzani propone le sue chine colorate all’AAB, l’Associazione che è ben consapevole di offrire al pubblico, agli appassionati, ma anche a chi non frequenta abitualmente le mostre, opere che meritano di essere conosciute perché si inseriscono a pieno titolo nella cifra delle proposte contemporanee di notevole livello e di importante valore. È la mission dell’Associazione di vicolo delle stelle mettere a disposizione capacità e strutture organizzative per consentire agli artisti di presentarsi in un luogo fisico, in carne e ossa, oltre che nella piazza informe dei social, nella speranza di favorire e di far crescere la produzione di cultura e, contemporaneamente, la domanda di cultura.
A chi guarda con un minimo di attenzione le opere proposte in questa mostra non potrà sfuggire il valore di questa produzione artistica per la maestria formale, per la tecnica raffinata, per l’empatia, quasi, che l’autore instaura con i soggetti e i temi dipinti, ricercati e scovati in escursioni nella valle del Caffaro, ma anche in pellegrinaggi nelle contrade, famose o remote, in Italia e in giro per il mondo alla ricerca di ispirazione. È la stessa empatia con la quale Melzani ci invita, sottovoce e con delicatezza, a entrare nei suoi quadri, i quali sono, a modo loro – per parafrasare un verso di Alda Merini – la bellezza che non potrà cessare e che sono l’oggi della vita dell’artista e che, almeno un po’, è anche la storia della nostra vita.
Qui i percorsi della vita e della china del pittore si intrecciano nell’animo e nei ricordi, fissati nella mente a memoria o con l’ausilio di una fotografia e con i mille e mille punti dei pennini di varie dimensioni e con i colori delle chine Rotring – Winsor – Newton diventano quadro, messaggio (artistico, ma non solo) per l’osservatore con quel di più di pedagogico che Melzani ha praticato in tanti anni di insegnamento e di proposta educativa ai ragazzi e alle ragazze delle scuole medie.
È interessante notare come nei suoi quadri l’artista bagosso riesca a ottenere efficacia espressiva, equilibrio e senso del ritmo utilizzando al meglio punti, masse di valori e di toni con accostamenti o contrasti di colori per giungere alla composizione che ha in mente di realizzare anche con un uso intelligente delle sorgenti luminose, talvolta, sorprendentemente più di una. Ne risulta una composizione in cui gli elementi sono ben distribuiti e dove il vero non è mai copiato, ma ripreso e interpretato, intrecciato tra raffigurazione reale e considerazioni filosofiche, senza ben capire dove finisce l’una e iniziano le altre.
Sono opere figurative, allo stesso tempo surreali e metafisiche, non ne fa mistero il nostro artista che cita De Chirico, un maestro della pittura che dipinge oggetti ben definiti e lineari, ma inseriti in contesti che vanno oltre l’apparenza della realtà; o anche Michelangelo Antonioni regista di Blow up, capolavoro del 1996 basato sulla illusione della realtà.
Sono molti, diversificati, vari, molteplici i temi, i soggetti che Melzani, in modo figurativo, un po’ surreale e metafisico, propone nei suoi quadri. C’è Bagolino, con i suoi scorci, i suoi tetti, con l’unico arco gotico raffigurato nell’opera Le categorie, la piazzetta, la fontana; c’è l’uomo con la valigia e il cappello senza mani e senza testa; ricorre alle arcate di una chiesa nel brindisino per dirci, con Heidegger, che siamo gettati in questo mondo; ci propone un tempietto visto in Corsica dedicato a una ragazza morta a sedici anni; con l’opera Il ragno di Nietzsche vuole ricordarci la teoria dell’eterno ritorno; è pura autobiografia Il salice sul Chiese, è qui che l’artista prendeva la corriera; è una contraddizione la rappresentazione di piazza Vescovado a Brescia dove due preti vestono la talare pre conciliare e accanto è raffigurato un edificio moderno che qui, in realtà, non esiste; in mostra possiamo vedere un’opera con il lago di Garda e un’altra con il lago d’Idro.
È interessante il Dolmen del tempo dove in cielo compaiono tre lune: il tempo della vita, della filosofia, dell’economia e chissà quanti altri tempi si potrebbero rappresentare; a proposito di tempo filosofico Melzani non rinuncia, attraverso i suoi quadri, a offrirci riflessioni filosofiche; con la Caverna ci rammenta, platonicamente, che noi non conosciamo la realtà, ma solo l’ombra, con Il posto e le sue numerose sedie vuote e diverse ci ricorda che c’è una sola verità, ma tanti punti di vista. Ricorrono frequentemente fiori (magnolia, carline, soffioni, alchechengi) piante spoglie, dolmen (monumenti preistorici in cui pietre infisse al terreno in senso verticale reggono una pietra orizzontale), menhir (alte pietre monolitiche piantate a terra). L’orma sulla neve (prodotta da una ciaspola o è quella dell’uomo sulla luna?) ci riporta, insieme a Leopardi (Che fai tu, luna, in ciel) e ancora una volta a Heidegger (con la conquista da parte dell’uomo è finita la sacralità della luna).
Dopo oltre 20 anni di incisioni, ora Paolo Melzani ci regala emozioni, domande, dubbi, con le sue chine a colori. La mostra è un evento di sicuro interesse, sia per gli interessanti risultati della sua nuova parabola artistica e della sua ispirazione, sia per la genuina passione che non mancherà di coinvolgere i visitatori.